Troppe regole non sono mai servite a nulla

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Il Punto

di Sergio Barlocchetti

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Come previsto Enac ha pubblicato una nota informativa a chiarimento dell’edizione 3 della normativa sugli APR. Il nodo riguarda la visita medica, non più necessaria nella maggioranza dei casi per chi conduce piccoli velivoli a pilotaggio remoto. C’è da chiedersi, a sei anni dalla prima bozza di regolamento, perché fosse stata richiesta, peraltro rendendo impossibile il pilotaggio da parte di chi, al tempo, aveva patologie che in altre nazioni non sono più considerate limitanti neppure per il pilotaggio da bordo.

E se da un alto si vede uno spiraglio di luce e stabilità normativa derivante dall'arrivo del regolamento UE, dall'altra si assiste a un eccesso normativo. Oggi infatti abbiamo le norme comunitarie di EASA per l’uso dei droni, abbiamo quelle tecniche emanate dall’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), sono in arrivo in bollini CE e su tutte poggiano anche quelle transitorie nazionali. Ma mentre le prime, alla fine dei giochi, hanno dovuto scontrarsi con il sano pragmatismo anglosassone e dell’est europeo (viva le Open!), le altre, quelle tecniche, rischiano di porre limitazioni alla progettualità e di alzare i costi di realizzazione di qualsiasi nuovo APR, favorendo soltanto i grandi costruttori e portando il settore a compiere gli stessi errori nei quali è incorsa l’aviazione generale dal 1965 al 2015.

Troppi paletti non consentono ai progettisti di applicare idee nuove, costringono i finanziatori a budget gonfiati perché buona parte della somma di denaro se ne va nelle “Compliance Check List” definite dalle norme, cioè si trasformano in carta e stipendi dei consulenti. Non a caso, proprio nel 2015, FAA e EASA semplificarono la norma FAR/Cs-23 perché si accorsero che le flotte di aeromobili in giro erano vetuste e che nessun costruttore investiva su nuovi progetti perché la certificazione pesava fino al 45% sul costo finale di un prodotto. Se dunque bisogna fare un bilancio degli ultimi sei anni c’è poco da essere contenti: il settore è ancora soffocato e in Italia completamente ingessato. Purtroppo oggi abbiamo la dimostrazione che se fino all'entrata in vigore della normativa comunitaria avessimo lasciato tutto il comparto soltanto con un minimo controllo, probabilmente oggi avremmo una base di operatori e piloti più numerosa e un mercato magari non proprio fiorente, ma certo neppure asfittico. Probabilmente avremmo comunque le assicurazioni, qualche provvedimento regolamentare e disciplinare, ma nessuna catastrofe sarebbe accaduta.

Dunque il settore unmanned, e non per colpa sua, ha finora rifatto tutti gli stessi errori di quello dell’aviazione manned, ed ora con la confusione che regna attorno al processo di integrazione dei droni nello spazio aereo (la faccenda del transponder), rischiamo anche di arrivare alla farsa, ovvero di mettere in piedi un sistema che usi le reti telefoniche per trasmettere la posizione del SAPR non tanto a chi gli vola intorno (che sarebbe la cosa giusta da fare), bensì a un server che informi il controllore di volo il quale a sua volta informerà il pilota dell’aeroplano o elicottero ma non quello del drone. Quindi se soltanto uno dei quattro (4!) anelli della catena non fosse disponibile – la rete telefonica, il server centrale, l’operatore ATS e la sua radio, il telefonino dei pilota di SAPR che riceve l’informazione tramite una App che si può bloccare – tutto sarebbe completamente inutile ai fini della sicurezza.

Certo, lo Ads-B non piace ai colossi dell’industria perché non consente di giustificare milioni di euro di investimenti, è difficile da certificare (certo, non vorrete per caso fidarvi dei costruttori che ne stanno facendo milioni di pezzi...) e consente di mettere in collegamento SAPR e Aeroplani in modo diretto, senza che il controllore possa vederli entrambi sul suo schermo (difficilmente un radar primario e secondario possono vedere a 200 metri dal suolo). Uno scenario tipico potrebbe essere quello di un operatore SAPR o di un aeromodellista che volano in campagna, ma proprio mentre un elicottero svolge lavoro aereo a bassa quota. Forse lo scenario tra i più realistici, statisticamente più probabile di tante altre potenziali catastrofi che vengono propinate durante certi convegni. In questo contesto sto dalla parte degli aeromodellisti, che tra tutti dovrebbero rinunciare alla loro libertà. Da parte loro mi aspetto una rivolta, del resto mettere la targa, la patente e l’assicurazione per giocare è roba da matti. E ne vedremo delle belle.

Detto ciò, nell'augurare ai miei lettori Buone Feste, approfitto per salutarvi. Dopo sei anni sospendo questo mio appuntamento settimanale su Dronitaly. Ogni tanto bisogna uscire da rotte e quote prestabilite per scoprirne di nuove.

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*Professionista del settore aviazione da 27 anni, ingegnere aerospaziale, giornalista professionista e pilota. Ha ricoperto il ruolo  di Flight Test Engineer e Project Manager in ambito manned e unmanned. Ha fatto parte della redazione del mensile Volare per 18 anni e ha esperienza di pilotaggio su aeromobili leggeri ed executive. Attualmente ricopre l’incarico di direttore tecnico di un'azienda aeronautica internazionale ed è docente di materie tecniche presso la scuola dell’Aeroclub Milano.

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